giovedì 5 gennaio 2012

OMSA : Una storia di ordinaria delocalizzazione.

 

Tutti a casa. GOLDEN LADY, colosso italiano del settore calzetteria, ha chiuso a Faenza lo stabilimento OMSA, un’azienda del gruppo. Risultato? La “bellezza” di 350 dipendenti a spasso. E la stragrande maggioranza sono donne.
Fonte: http://www.isoladeicassintegrati.com/2010/10/08/omsa-una-storia-di-ordinaria-delocalizzazione/

OMSA

“A casa definitivamente: si chiude!” Questo in spiccioli si sono sentiti dire nel gennaio scorso i 350 dipendenti (di cui ben 320 donne) dello stabilimento OMSA di Faenza (Ravenna), già da un anno (febbraio 2009) in cassa integrazione. Un’altra azienda che chiude per la crisi, verrebbe da pensare. Sbagliato. Il lavoro infatti non è mai mancato.
“A questo punto una domanda sorge spontanea”, diceva Antonio Lubrano, perché chiudere? È il profitto, bellezza! Il profitto! È tu non ci puoi far niente. Niente! Ma la proprietà, nientepopodimenoché il sig. Nerino Grassi, giusto per fare il nome del responsabile di questo disastro, non ha niente del coraggioso personaggio interpretato da Bogart nei film. Infatti lo stabilimento di Faenza ha chiuso per poter trasferire la produzione in Serbia risparmiando sui costi. Tutto qui.
L’infelice unione tra OMSA e i Grassi è della fine della anni Settanta. Nel 1978, infatti, Arnaldo Grassi, industriale di Castiglione delle Stiviere (Mantova), rileva il glorioso marchio fondato nel 1941 dalla nobile famiglia forlivese degli Orsi Mangelli. Le persone dipendenti passano da circa 1000 degli anni Sessanta a 700 dei Settanta, fino a 350 al momento della chiusura. Nel frattempo, nel 1990, l’azienda passa dalle mani di Arnaldo a quelle del fratello Nerino, creatore del marchio GOLDEN LADY. Il gruppo GOLDEN LADY vive una fase di espansione ampliando la propria fetta di mercato, arrivando ad includere, oltre a OMSA, altri importanti marchi come SISI, FILODORO, PHILIPPE MATIGNON, NY LEGS, HUE, ARWA.
Secondo quanto riporta il loro sito Internet, attualmente il gruppo “è leader in discusso in Italia”. In totale conta 15 stabilimenti produttivi in Europa e 4 negli USA, 7000 dipendenti (7000 meno i 350 OMSA, per la verità), 300 milioni di paia di calze prodotte all’anno e una quota totale del mercato nazionale superiore al 50% e altre significative in Russia e in tutti i principali mercati europei, con filiali estere in Germania, Spagna, Francia e Regno Unito.
Si capirà dunque lo stupore delle dipendenti quando nel febbraio 2009 la proprietà le colloca tutte in cassa integrazione ordinaria. I mesi di incertezze, ma di speranze, si interrompono nel gennaio 2010 con l’annuncio di Grassi di chiudere lo stabilimento di Faenza per aprirne un altro in Serbia. “Un altro” perché va ad aggiungersi agli altri due già attivi (per un totale di circa 1800 persone). Alla faccia del made in Italy. Ma le lavoratrici non ci stanno ad essere gettate via come limoni spremuti e presidiano i cancelli della fabbrica 24 ore su 24 per evitare che vengano portati via i macchinari.
Pur di evitare i licenziamenti, propongono di ricorrere al contratto di solidarietà. L’arrogante Nerino Gradassi (pardon: Grassi) risponde “picche”, ma loro di andarsene a casa proprio non ci pensano. Così si impegnano per denunciare quanto succede. Scendono in piazza per manifestare, aprono un gruppo su Facebook per allargare la protesta, mentre un altro è dedicato al boicottaggio di tutti i prodotti del gruppo GOLDEN LADY. Arrivano su Striscia la notizia, organizzano eventi di solidarietà e partecipano a “Rai per una notte”.
Rispetto alle altre aziende che chiudono, una delle cose che più colpisce del caso OMSA è la grande presenza di forza lavoro femminile: mogli e mamme su cui centinaia di famiglie hanno contato per tirare avanti. In un Paese con bassi livelli di occupazione fra le donne, questo non è certo un bel segnale sulla strada dell’uguaglianza di genere. Se il posto di lavoro è difficile da trovare per un uomo, figurarsi per una donna.
La totale mancanza di rispetto dei vertici del gruppo GOLDEN LADY nei confronti delle donne – che come lavoratrici e consumatrici dei prodotti ne hanno decretato la fortuna – è stata da ultimo denunciata nella recente puntata del bel programma Presa Diretta di Riccardo Iacona (al minuto 1:08:45) . Se, da un lato, il gruppo vuole cancellare le donne licenziandole; dall’altro, le umilia negandole i diritti come dipendenti. Con tanti saluti alla gratitudine.
di Gianluigi Piu

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