Tutti i canali televisivi, giornali e media di ogni corrente stanno facendo a gara nel difendere come intrepidi paladini i diritti della donna, forse perché considerata da sempre erroneamente il “sesso debole”, forse perché decenni di slogans femministi hanno sortito qualche effetto, forse perché ultimamente oggetto di violenze sempre più marcate, insomma l’opinione pubblica di solito è sempre in suo favore, cioè in favore della donna che viene presentata come una povera vittima, incompresa, perseguitata e perfino picchiata soprattutto quando pretende di separarsi dal marito contro la sua volontà.
A nessuno balena minimamente l’idea di chiedere alla donna i motivi di tale separazione, spesso improvvisa, motivi che possono essere anche futili o inesistenti, no! Nessuno si sogna di indagare il perché di questa scelta che piomba su una famiglia come una bomba devastatrice, nel tentativo di introdurre degli elementi di unione, di ripensamento per evitare le conseguenze negative di un simile gesto! E’ proibita un’operazione del genere perché tutti danno ormai per scontata la separazione, perché lo prevede la legge, perché si considera un “diritto” della moglie quello di separarsi, di distruggere la sua famiglia, di provocare traumi laceranti nei figli, di gettare nella disperazione il marito che si trova all’improvviso senza moglie, senza figli, senza casa e con spese di mantenimento triplicate, a tal punto da andare via di testa il più delle volte con dei gesti così violenti e irrazionali che solo la forza della disperazione può giustificare.[1]
Davanti alle richieste di separazione da parte della donna che avvengono ormai nel 90% dei casi, il marito ha solo dei doveri: assecondare i desideri della moglie accettando tutto passivamente, civilmente, a norma di legge, serenamente, senza fare una piega, senza pretendere spiegazioni nè tentare riconciliazioni: “Tanto, che male c’è? E’ inevitabile! Bisogna prendere atto pacificamente della rottura del matrimonio come di un evento tra gli altri, e bisogna farlo in maniera civile, con serenità, nel reciproco rispetto del coniuge e delle leggi!” affermano tutti con fare incoraggiante come quando si deve affrontare un difficile intervento chirurgico per poi godere dei benefici della guarigione.
Ma quale guarigione? Quale intervento a fin di bene? Quale gioia da raggiungere? La rottura del matrimonio, anche nel migliore dei casi, costituisce sempre un evento così traumatico per entrambi i coniugi che difficilmente si risolve senza l’aiuto di psichiatri e di psico-farmaci! Per il fatto che il matrimonio è talmente parte intrinseca della persona, della natura umana, della famiglia naturale, che la sua rottura, tranne doverosi casi eccezionali, provoca una lacerazione così profonda da creare dei traumi psico-fisici incancellabili per tutto il resto della vita. Quella frase di Gesù Cristo tanto significativa “E I DUE SARANNO UNA CARNE SOLA” è verissima, a tal punto che separare due coniugi è così doloroso e traumatico come se si dovessero separare due siamesi, per il fatto che il matrimonio non lo ha inventato la società, o lo Stato e nemmeno la Chiesa, il matrimonio come unione definitiva di un solo uomo con una sola donna lo ha inventato Dio sin dal momento della creazione dell’uomo, e mettere le mani sul matrimonio e sulla famiglia è come distruggere il progetto di Dio su tutta l’umanità, quindi si distrugge l’uomo!
Il divorzio è sempre traumatico, e da quella data nefasta che lo ha sancito come legge, nel 1975 e che ha segnato lo sfascio della famiglia, sono aumentati i disperati, i nevrotici, i psicopatici, i pazzi, i suicidi, i drogati ecc. proprio perché figli di divorziati, senza famiglia e senza punti di riferimento. Senza dire che tutto questo ha provocato nelle nuove generazioni una grande sfiducia vero lo stesso istituto del matrimonio![2]
Non vogliamo con questo giustificare il gesto dei mariti violenti e assassini, ci mancherebbe altro, tuttavia esiste un assassinio premeditato forse peggiore che è quello costituito dalla moglie quando, per futili motivi, o di carriera, o di nostalgia di vana libertà, o perché vittima di facili lusinghe da parte di qualche corteggiatore, decide di “accoltellare al cuore” il marito, abbandonandolo, e portandosi via figli, casa e buona parte dello stipendio del coniuge.
Non è così semplice staccarsi dall’amore vero e ormai consolidato per buttarsi alla cieca nella braccia di nuovi amori sconosciuti e imprevedibili, o per avventurarsi spavaldamente da sole verso una carriera che mai potrà sostituire il calore della famiglia. Eppure si privilegia la stoltezza collettiva! Anziché amare, cioè condividere gioie e dolori, sopportare difetti, cedere su piccole cose prima che diventino montagne invalicabili, accettare qualche sacrificio anche in vista del bene dei figli, si preferisce rompere, tagliare, distruggere e non ci si accorge che si sta rompendo, tagliando e distruggendo la propria vita.
Indirizzo web: lettere di Patrizia Stella: http://theconverter.xoom.it/
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