giovedì 19 aprile 2012

LA DONNA NEL RISORGIMENTO ITALIANO



Nell’occasione del 150.mo anniversario dell’unità d’Italia, si è parlato molto anche del ruolo della donna nella ricostruzione dell’Italia, ruolo che i mass media hanno voluto evidenziare presentando figure femminili legate per lo più al campo socio-politico, o perché compagne di uomini politici di spicco, o perché sostenitrici dei partigiani alla fine della seconda guerra mondiale, la cosiddetta ‘rivoluzione rossa’, di cui nessuno osa parlare,[1] o perché hanno sostenuto battaglie culturali in nome di un’emancipazione femminile rivelatasi spesso falsa perché sganciata dalla responsabilità e dal rispetto del proprio ruolo femminile. Quell’Italia del Risorgimento spesso preda di sterili proteste, o di rivoluzioni inutili o di accaparramento di poteri a scapito dei poveri.[2]
            Assoluto silenzio invece sull’operato di altre donne italiane che negli ultimi due secoli hanno contribuito in maniera determinante alla costruzione della nuova Italia, lavorando a vasto raggio sotto l’insegna di un solo motto ‘l’amore’. Un amore inteso come dono totale di sé, realizzato nella famiglia o nella società attraverso forme assistenziali, o culturali, o di formazione della coscienza.
            Pensiamo ad esempio a quella figura di donna esile ma gigantesca che è stata Francesca Cabrini, vissuta tra la fine dell’800 e morta nel 1917 che, da semplice maestrina, figlia di un contadino della Val Padana, ha capito di dover realizzare qualcosa per prestare soccorso a quegli emigranti italiani costretti ad abbandonare la loro patria per sopravvivere cercando fortuna in terre lontane, per lo più nelle Americhe, soli, affamati, disorientati e sprovvisti di tutto.
Ebbene, la Cabrini, proclamata poi santa, con l’appoggio del Santo Padre Leone XIII che intuì la sua tempra di vera apostola dietro a quella sua figura debole e spesso malata, fondò a Codogno l’Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù e si imbarcò con sette suore per New York. Attraversò l’Atlantico una trentina di volte, una volta perfino la Cordigliera delle Ande, lavorò alacremente con le sue suore in Nicaragua, Usa, Brasile e Argentina con una forza che sa di miracolo per risanare le piaghe dell’emarginazione sociale dei suoi connazionali, tanto da essere definita: ‘L’Angelo degli emigranti’. Fondò scuole, orfanotrofi, ospedali, ospizi sia nelle Americhe che nell’Europa, permettendo a molti emigranti e ai loro figli di poter tornare poi in patria.[3]
            Chi parla di lei? Chi la conosce? La Cabrini è una vera artefice non solo della nuova Italia, ma anche degli Stati d’America dove ha operato e il cui lavoro si è esteso a macchia d’olio dopo la sua morte, a tal punto da essere stata insignita di titoli onorifici non solo in Italia (la stazione di Milano ad esempio è stata dedicata a lei) ma anche negli Usa in quanto promotrice di valori umani, di civiltà, di cultura e di progresso.
            Altra figura di spicco nel campo dell’assistenza, è la Beata Giuseppina Nicoli di Pavia. Fu inviata dal suo Istituto di S. Vincenzo in Sardegna per lavorare tra i poveri, e lì pensò di riscattare dalla miseria morale e materiale migliaia di ragazzini sbandati e sfruttati che lavoravano nei vari porti delle coste sarde per un tozzo di pane. Per loro ideò case-famiglia, scuole, campi di lavoro, cooperative agricole... offrendo loro studio, lavoro, dignità e molto calore umano.
            Così pure la Beata Vincenza Polloni, cofondatrice col Beato Carlo Steeb delle suore della misericordia, che hanno trasformato i miseri e talvolta luridi ospizi di quel tempo in ospedali dignitosi dove regna pulizia, ordine, igiene, e soprattutto amore e cure adeguate per tutti i malati.
            Ma troviamo donne eccezionali anche nel campo della cultura. Pensiamo ad esempio alla contessa Elena da Persico di Verona che, nella prima metà del ‘900, seppe valorizzare la dignità della donna, non solo aprendo scuole e centri rurali per analfabete e contadine, ma anche attraverso iniziative volte a reclamare i loro diritti come protagoniste della vita famigliare, sociale e politica, intesa come servizio a Dio e al prossimo. Fu infatti la prima donna chiamata a par parte del Consiglio Provinciale della DC di Verona nelle elezioni del 1946.
            E poi Armida Borelli che fondò l’Azione Cattolica, con lo scopo di trasmettere la dottrina sociale della Chiesa ai fedeli laici attraverso gruppi di studio e di preghiera sparsi sul territorio.
            Un breve accenno alle numerose figure di donne carismatiche fondatrici di movimenti o congregazioni femminili per l’insegnamento e la valorizzazione della persona secondo gli insegnamenti del Vangelo, quali Chiara Lubich per il movimento dei Focolarini, Leopoldina Nodet per le suore della Sacra Famiglia, Fedora Campostrini e molte altre, per passare a menzionare anche tutte quelle donne che hanno contribuito alla ricostruzione della nostra Patria partendo dal ‘cuore’, cioè dall’interiorità più profonda, attraverso l’immolazione della propria vita nei monasteri di clausura, da dove attirano grazie e benedizioni sulla nostra Patria.   Figura splendida in tale senso anche per la sua bellezza è stata la marchesa Alessandra di Rudinì Carlotti che, dopo una vita dissipata e travagliata (fu anche amante di Gabriele d’Annunzio), si convertì ancora giovane facendosi suora carmelitana di clausura, dando impulso al suo istituto con nuove fondazioni e vocazioni. Raccontano i suoi biografi che, al momento di lasciare definitivamente la sua villa sul lago di Garda, mentre gli inservienti la supplicavano di non andarsene, ella, con fare deciso e passo risoluto, proseguì la sua strada attraverso il lungo viale alberato senza mai voltarsi indietro fino a raggiungere la carrozza che l’avrebbe portata al Carmelo in Francia.
E che dire dell’altra commovente figura femminile che è Benedetta Bianchi Porro? A pochi passi dalla laurea in medicina scopre di avere un terribile male e invece di disperarsi, si mette come bimba nelle mani di Dio Padre e lì trova la forza di consolare altri facendo loro scoprire il valore meraviglioso della vita anche nei suoi aspetti più terribili.
Queste donne straordinarie e moltissime altre, spose e madri esemplari che hanno trasmesso il valore dell’amore, della famiglia, della maternità e della fede, sono le vere, autentiche colonne della nostra Italia fondata su una miriadi di piccole celle che sono le famiglie.[4]

Si potrebbe obiettare che cosa centra la preghiera e la fede nella ricostruzione dell’Italia del Risorgimento? Che piaccia o no ai laicisti incalliti, sta di fatto che le vere ricostruzioni, in qualunque epoca storica, dalla venuta di Cristo in poi, anche dopo calamità terribili, sono state realizzate per lo più dai santi o comunque dai credenti perché la forza che proviene dalla fede e dalla preghiera è di gran lunga più efficace di tutte le battaglie laiche che si possono intraprendere per la giustizia e l’uguaglianza, per il fatto che, attraverso la preghiera, è Dio stesso che interviene in nostro aiuto. E se adesso notiamo solo disastri attorno a noi, come se Dio ci avesse abbandonati, è perché sono scomparse fede e preghiera anche in molte persone di chiesa, donne in testa.

Infatti il primo forte, inesorabile declino per la donna iniziò con la rivoluzione del ’68. Attratta da falsi miti di libertà, la donna ha iniziato irreversibilmente la sua opera di distruzione dell’Italia.  All’insegna del libertinaggio sfrenato e del motto ‘il corpo è mio e ne faccio quello che voglio io’, da madre premurosa è diventata perfida matrigna, e da sposa fedele e innamorata è diventata adultera calcolatrice alla caccia di avventure e di soldi. Quante lacrime, tragedie, omicidi, depressioni, quanti figli allo sbando, a causa dello sfascio della famiglia, calamità peggiori della bomba atomica perché i divorzi hanno provocato disastri psichici, fisici e morali più forti delle stesse guerre.[5]. E a provocarlo nell’85% dei casi è la donna, la moglie, la madre che, attratta da false chimere di carriera o di libertà, o da lusinghe di qualche approfittatore di turno, decide di sbarazzarsi del marito come si fa con un vestito vecchio da buttare.
            E da quando la donna ha permesso che il bambino, il frutto del suo grembo venisse dilaniato e distrutto e buttato al macero con la legge sull’aborto del ‘78, si è aperto un baratro di iniquità senza fondo, a tal punto che non si è mai visto un così terribile e progressivo disprezzo per la vita dell’uomo come in questi ultimi decenni.
            E’ quanto vanno insegnando per le varie università del mondo, compresa l’Italia, gli artefici della morte, Alberto Giubilini e Francesca Minerva, sulle orme del loro ‘maestro’, Peter Singer, secondo i quali non solo il ‘feto’ come lo chiamano loro, cioè il bambino nel grembo della madre, ma anche il bambino già nato può essere eliminato in qualunque momento, perché incosciente e pertanto non persona. ‘È ipocrita far abortire la donna all’ottavo mese e non consentire l’eutanasia neonatale. Molti anni fa, nel 1994, proposi di fare eutanasia fino a un mese dalla nascita. Oggi penso che non dovremmo porre alcun limite temporale’ (Peter Singer, Ripensare alla vita, Il Saggiatore, 1996). Secondo questo assioma demenziale, è sufficiente che uno dorma per essere incosciente, quindi non persona, e pertanto passibile di eliminazione. Era prevedibile che, legalizzato l’aborto, non si sarebbe più arrestata la sete di morte da parte di quelle lobby che odiano l’uomo, bersaglio del diavolo, in quanto immagine e somiglianza di Dio.
            A questo punto, che sperare? Solo che la donna si ravveda, riprenda in mano la sua dignità perduta e inizi la sua battaglia, forte e coraggiosa, in nome di Cristo e della bellezza della vita umana, contro tutti i seminatori di morte, per amore dei nostri figli e di tutta la società. Coraggio!

                                                           patrizia@patriziastella.com  - www.patriziastella.com

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