di Laura Savani
Fin dalla più remota antichità le pietre preziose vennero usate come ornamento e come simbolo di autorità. Ad esse erano anche attribuite particolari virtù e poteri magici, come quelli di prevenire e guarire certe malattie, di allontanare pericoli, di assicurare il compiersi di certi eventi. Presto le pietre divennero privilegio di regnanti e delle massime autorità religiose. Soprattutto il diamante divenne un simbolo di potere per chi lo possedeva, e da sempre lo splendore e la purezza di questa pietra suscitarono ammirazione e desiderio.
I diamanti più celebri provengono dall'India e soprattutto nel Seicento e nel Settecento furono acquistate le pietre più grandi e rare. Si ricorda il Gran Mogol, di 280 carati, descritto nel XVII secolo da Tavernier, che lo vide nel tesoro del gran mogol di Delhi e oggi scomparso; il Fiorentino, di 137 carati, di colore leggermente giallo, purissimo, forse appartenuto a Carlo il Temerario, acquistato da Ferdinando I de' Medici e passato poi alla casa d'Austria scomparendo nel 1918; l'Orlov, di 199 carati, donato nel 1773 dal principe Orlov a Caterina di Russia e ora al Cremlino; il Sancy, di 53 carati, che appartenne forse a Carlo il Temerario prima di essere acquistato da Elisabetta I d'Inghilterra e quindi da Luigi XIV; il Reggente, magnifica pietra di 140 carati, acquistato nel 1717 dal duca d'Orleans, reggente di Francia, per conto di Luigi XV.
Ma è soprattutto il diamante Hope, di una meravigliosa colorazione azzurro zaffiro, quello più famoso ma anche quello più inquietante.
Il "diamante hope" oggi al Smithsonian Museum: è conosciuto anche con i nome di "violettes", "bleu de France", "bleu français", "Sitha's eye"
Come la storia del “teschio del destino” quella del diamante Hope sembra suggerire la possibilità che i cristalli abbiano il potere di assorbire le emozioni umane.
Siamo nel 1688 e Luigi XIV acquista da un commerciante francese di nome Jean-Baptiste Tavernier, un magnifico diamante blu di 114 carati proveniente dalla miniere di Golconda. Si narrava che Tavernier l'avesse sottratto dall'incavo dell'occhio di un idolo in un tempio indiano. Subito dopo aver venduto il diamante a Luigi XIV, il commerciante faceva bancarotta e nella speranza di rifarsi una fortuna era ripartito alla volta dell'India, senza però mai arrivarci perché morì durante il viaggio.
Luigi XIV fece tagliare il diamante a forma di cuore per donarlo alla sua favorita, Madame de Montespan che fu poco dopo coinvolta nell'affare dei veleni e cadde in disgrazia.
Madame de Montespan con il diamante Hope
Un secolo dopo il diamante venne donato da Luigi XVI a Maria Antonietta. Il suo coinvolgimento nella perdita del collare della pietra fece ampiamente scemare la sua già scarsa simpatia presso il popolo. Il diamante, venne affidato alla principessa di Lamballe che morì linciata dalla folla durante le stragi di Settembre. La regina morì sotto la ghigliottina in pieno Terrore.
Il diamante blu ricomparve a Londra, ampiamente ridotto rispetto alle dimensioni precedenti, da 114 carati a 44 carati, e nel 1830 venne acquistato da Henry Thomas Hope e da quel momento in avanti la pietra venne battezzata “diamante Hope”.
La maledizione che il diamante sembrava portare con se non cessò e coinvolse molte altre persone fino a quando fu affidato al Smithsonian Institute dove ancora oggi può essere ammirato.
I chiaroveggenti sostengono che i cristalli posseggano a un grado molto elevato la capacità di assorbire. Sono sensibili alle vibrazioni della mente umana e da ciò potrebbe conseguire che in certe circostanze una sorta di “maledizione” possa esservi impressa in modo voluto e deliberato. Qualunque possa essere la spiegazione il diamante Hope è ancora oggi il simbolo del meraviglioso e del maledetto.
Fonte: http://www.baroque.it/barocco-mirabilia/diamante-hope.php
Fonte: http://www.baroque.it/barocco-mirabilia/diamante-hope.php
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